Obiettivo di riflessione: Può la scrittura aiutarci a formulare un’ipotesi di senso sulla nostra vita? E in che modo questo incide sul nostro presente e sul nostro futuro?
“La vita non ha senso, anzi, è la vita che ci dà un senso, sempre che noi la lasciamo parlare.”
Con queste parole la poetessa Alda Merini rispondeva a Paolo Bonolis, durante un talk show di qualche anno fa. Ma in che modo possiamo lasciar parlare la vita? E quand’anche ci riuscissimo, come possiamo essere certi di interpretarne correttamente il messaggio?
Credo che non sia la vita in sé a conferirci un senso, ma che piuttosto sia ciascuno di noi a poter costruire il proprio senso attraverso un’opera continua di ri-significazione.
Puntini sparsi su una pagina bianca, come nei giochi della Settimana Enigmistica: così è la vita. Con la differenza che non ci sono numeri a indicare l’ordine corretto di congiunzione, la giusta traiettoria da seguire per ottenere un disegno comprensibile. Possiamo scegliere noi come connettere quei punti, e per farlo dobbiamo procedere dall’uno all’altro, tenendo a mente qual è stato il punto di partenza, quali le tappe intermedie, e prefigurandoci dove potremo approdare col prossimo gesto della mano. A poco a poco affiorano sulla carta puntini nuovi, inaspettati, che ci costringono a rivedere i nostri piani, a cambiare traiettoria, a contemplare l’incontrollabile e l’imprevisto come cifre costitutive del gioco a cui stiamo giocando.
L’autobiografia, su cui s’impernia il percorso della Scrittura Terapeutica, ci permette di volgere lo sguardo al passato per distinguere i puntini che avevamo dimenticato di connettere, o che la nostra mente inconscia aveva connesso senza che ce ne rendessimo conto, tracciando scarabocchi convoluti, intrecciati fra loro a formare nodi, coaguli di grafite che rischiano di bucare la carta. Il bello è che tutte le linee sono state tracciate a matita, e possiamo ancora cancellarle per inventare nuove congiunzioni. I punti, che nella nostra metafora sono gli eventi della vita, restano al loro posto, ma il disegno complessivo cambia, si armonizza, diviene intelligibile.
Tipicamente, nei romanzi che leggiamo il protagonista vede il proprio processo di cambiamento ostacolato dal permanere di un difetto fatale, residuo di un passato nel quale proprio questa caratteristica gli ha permesso di sopravvivere, fisicamente e/o psicologicamente. È il superamento di tale difetto che gli consente di dare vita a un arco eroico, cioè di ottenere, infine, l’oggetto del proprio desiderio (Dara Marks, 2007). Di raggiungere, riprendendo l’immagine abbandonata poco fa, il puntino desiderato realizzando un disegno che conferisca senso all’esperienza.
Il valore della scrittura autobiografica – uno soltanto, a dire il vero, fra i suoi molti valori – consiste nel rendere chi scrive, oltre che osservatore della propria storia, anche e soprattutto protagonista della stessa, dunque suo artefice. Guardare al passato, esplorare i punti comparsi come ferite sul foglio della propria esistenza, significa portare a coscienza il cammino compiuto, conferirgli un nuovo valore alla luce delle consapevolezze ottenute, misurare il presente sulla base del proprio progetto di vita, e così poter guardare al futuro con energie rinnovate, con la speranza e la determinazione di chi sa che, qualunque sia il proprio difetto fatale, superarlo è possibile, perché adesso si è in grado di riconoscerlo, di rintracciare i corsi e i ricorsi della propria storia personale, che fanno parte di quello che, in Analisi Transazionale, prende il nome di copione di vita (Eric Berne, 1979).
Ed ecco che, come per magia, anche in mezzo alla caotica e improvvisa comparsa di puntini imprevisti, di eventi che esulano dalla propria volontà, sembra più facile guidare la propria mano, imprimere punti a lungo sognati e realizzare, seguendo la rotta indicata dai desideri e dalle aspirazioni, un disegno che ci assomigli.
Consigli di lettura:
Dara Marks, L’arco di trasformazione del personaggio, Dino Audino Editore, 2007
Eric Berne, Ciao!.. E poi?, Bompiani, 1979
Sonia Scarpante, Parole evolute. Esperienze e tecniche di scrittura terapeutica, Sampognaro&Pupi, 2005
Molto interessante, mi ha dato parecchi spunti di riflessione e soprattutto un forte senso di respiro di speranza
Grazie per le tue parole. Proprio alla costruzione di una prospettiva di speranza mira, a conti fatti, il lavoro della scrittura terapeutica. Dare un senso al nostro passato ci permette di ricollocarci nel presente e di aprire lo sguardo alla possibilità di un futuro.