Scrittori anonimi

Tempo di lettura: 3 minuti

Chi scrive e di cosa scrive dietro le sbarre?

Come si conciliano ascolto e scrittura in assenza di libertà? Le persone detenute scrivono componimenti autobiografici?

Dal 2012 mi occupo di volontariato con progetti volti alla riabilitazione delle persone detenute nelle carceri milanesi.

Quel mi occupo suona un po’ pomposo, in effetti sarebbe più giusto dire che da allora ritaglio dal mio lavoro un paio di ore a settimana e le dedico a chi sta dietro le sbarre.

Dopo anni di incontri di ascolto, di mediazione, di teatro, di psicodramma e stesura di un romanzo collettivo nel reparto femminile di San Vittore, sono arrivata alla decisione di ampliare le mie conoscenze e navigando in rete, io e la mia amica e collega mediatrice ci siamo imbattute nel sito La cura di sédi Sonia Scarpante e incuriosite dai suoi testi e dal suo metodo di scrittura terapeutica, abbiamo pensato che frequentare il suo corso, seguire il percorso da lei ideato, potesse fornirci mezzi per approcciarci in un modo altro rispetto a quello da noi applicato con le persone detenute. È bastata una telefonata per convincerci e così ci siamo ritrovate a Cascina Brandezzata intorno a un tavolo insieme a persone sconosciute.

Ben presto ho realizzato che quanto io avevo immaginato di fare per gli altri, era invece indirizzato e rivolto a me stessa. È stato un cammino a volte doloroso, dove attraverso l’uso della scrittura si vuole superare la paura dell’imprevedibilità che di norma accompagna il percorso della scrittura come conoscenza di sé, imparando a osservarsi da fuori, a lasciarsi andare, a parlare di emozioni e di sentimenti senza sentirsi giudicati. Riconoscere nella storia di chi ti sta intorno e ti affida la sua parte più vulnerabile, analogie con la tua. Condividere una sofferenza e diventarne più consapevoli. Esternare un lutto, una colpa, sentendosi aiutati nel viaggio da una facilitatrice, ovvero una persona attenta, partecipe, empatica che ti accompagna in punta di piedi nel profondo delle tue emozioni per farne un punto di forza e di sostegno. Non è cosa semplice, poiché capitano momenti in cui affiorano ricordi dolorosi, sofferenze, rabbia e paura, a volte gioia. Tutte emozioni che vanno tirate fuori dallo scrigno del passato e per questo ci vuole coraggio. E per questo ci vuole fiducia.

Quel corso ha stimolato il mio desiderio di approfondire, di saperne di più, con l’intento di portare l’insegnamento di Sonia Scarpante dietro le sbarre, dove ce n’è un bisogno quasi fisico. Sono stata abilitata io stessa come facilitatrice di scrittura terapeutica e ho scoperto un mondo sommerso, là dove disperazione e abbandono hanno il sopravvento, dove il respiro di libertà è soffocato dal peso della colpa, del rimorso, del rancore, della speranza interrotta.

Ho imparato che lavorare su noi stessi ci aiuta ad aprirci al mondo con meno conflittualità, a relazionarci con gli altri con meno fragilità, con più sicurezza e maggior determinazione, trasformando le nostre debolezze in forza relazionale ed etica. Ne emerge un rapporto di reciproca fiducia, durante il quale affidiamo i nostri pensieri, il nostro vissuto, i nostri dolori sofferti a qualcuno che non conosciamo, ma di cui sappiamo di poterci fidare in quanto ciò che viene detto, scritto e letto all’interno del gruppo, lì rimane, senza giudizio o pregiudizio. Ci si sente, ci si può e ci si deve sentire liberi di aprirsi. Non c’è cosa giusta o sbagliata da scrivere e condividere, c’è solo l’impegno e la voglia di provare a liberarsi dal peso che ci opprime, dai nodi aggrovigliati e sepolti in un angolino della nostra anima che uno dopo l’altro, grazie al confronto col gruppo, affiorano e piano piano si sciolgono, restituendo un senso di sollievo, di risarcimento.

Perché farlo? Ti starai chiedendo. Perché confidare i miei segreti e condividerli con persone sconosciute? Perché è più semplice. Ti è mai capitato di raccontare o di accogliere la confidenza di una persona mai vista né conosciuta, durante un viaggio in treno, in una lunga attesa in coda, a un vicino di ombrellone, a un barman? A me sì. A volte parlare con un familiare, con un’amica, con la compagna o compagno di vita, può risultare difficile; non lo si fa per i più svariati motivi. Si teme il giudizio, non si vuole ferire, od offendere, ci si vergogna. Per il solo fatto che chi ci sta di fronte o attorno è qualcuno che non ci conosce e non ci giudica, le parole fluiscono senza inibizioni, senza filtri o freni. Mi piace pensare che sia un po’ come chi partecipa a un gruppo di alcolisti anonimi, dove tutto ciò che dici e ascolti rimane lì, al sicuro in un luogo scevro da giudizio e pregiudizio, solo che qui si tratta di scrittura che cura

Ottenere la fiducia dei detenuti del reparto dei protetti del VI raggio di San Vittore è stato il primo grande passo; il percorso di scrittura terapeutica con loro è un progetto che prosegue con risultati sorprendenti. Dietro le sbarre ci sono persone che spesso prendono in mano una penna per la prima volta, approcciandosi al foglio bianco con lo stesso timore con cui affrontano un colloquio col magistrato. Confidano alla carta ricordi di una vita interrotta e ascoltano con emozione i racconti dei concellini che parlano a cuore aperto.

Condividi articolo
Default image
Antonella Cavallo Popy
Collaboro nell'azienda di famiglia che alla terza generazione progetta e fabbrica apparecchiature per la ricerca scientifica, calcando le orme della genialità artistica di nostro padre e del nostro nonno inventore. Ho pubblicato racconti, poesie e romanzi, partecipando a concorsi e ottenendo riconoscimenti e premi. Dal 2012 mi occupo di volontariato con art.17, operando come mediatore culturale, linguistico e penale presso gli istituti penitenziari milanesi di San Vittore e Bollate con progetti di scrittura condivisa, psicodramma, teatro e mediazione, volti al coinvolgimento delle persone detenute in attività letterarie e teatrali in un cammino verso il riscatto di dignità, rispetto e libertà. A seguito formazione specifica, ho ottenuto l'abilitazione di Facilitatrice di Scrittura Terapeutica Metodo Sonia Scarpante e dal 2018 conduco un percorso di Scrittura Terapeutica nel reparto maschile di San Vittore VI raggio -  reparto detenuti protetti. La mia passione per la lettura e per la scrittura, nonché lo studio per aggiornare e approfondire le mie conoscenze, sono il motore propulsore che mi spinge a condividere la potenza delle parole nei luoghi in cui la cura di sé può rappresentare l'unica speranza di riscatto emotivo, l'unico respiro di libertà.
Articoli: 5

13 Commenti

  1. Quello che stai facendo è un atto d’amore verso gli altri e poi torna indietro. Capisco perfettamente ciò che hai scritto perché ho sperimentato più volte lo stare insieme a persone estranee scrivere e parlare dei problemi che ti porti dietro. Ho avuto la fortuna di essere guidata dà Padre Ballestrer a Roma che purtroppo non c’è più. Prosegui perché hai davanti a te una nuova vita che ti potrà portare anche tante sorprese. Un abbraccio

    • Ciao, Raffaella! Grazie per la tua testimonianza. Lavorare con le persone detenute mi ha insegnato molto. Relazionarmi con loro, con la loro sofferenza e constatarne il sollievo come risultato dei nostri incontri di scrittura è un’esperienza molto intensa e impegnativa a livello emotivo. Mi fa piacere sapere che anche tu hai trovato beneficio nella scrittura condivisa! Ti abbraccio!

  2. Un percorso difficile e profondo da percorrere il tuo. L’aiuto che dai sicuramente è importante per chi magari pensa di non avere più una via di uscita. Proiettato nella vita “normale “ sicuramente può essere di aiuto anche se l’ostacolo del pensiero… “cosa ne penseranno di me” dopo la rivelazione del segreto nascosto per anni potrebbe creare un freno. Ma la voglia di cambiare, stare meglio, migliorare sicuramente spronerà molti ad aprirsi e raccontarsi!

    • Ciao, Rudy! La tua è una riflessione interessante. Se è vero che la sofferenza non fa distinzione di sorta tra condizioni diverse di stato, di sesso o di età, tra chi sta davanti o dietro le sbarre, allo stesso modo – come hai ben scritto – ‘l’ostacolo del pensiero: cosa ne penseranno di me dopo la mia rivelazione’ vale per chiunque. Sta nella capacità del facilitatore far allentare quel freno, infondere fiducia e mettere a proprio agio chi con coraggio affida il proprio ‘segreto’, sicuro che non sarà oggetto di giudizio o pregiudizio. Naturalmente l’accoglienza del gruppo è anche molto importante. Il desiderio di migliorare, di stare bene, di sciogliere i nodi che ingarbugliano e oscurano la serenità, è il giusto punto di partenza. Grazie!

      • Un grande impegno il tuo , l’empatia e la compassione sono alla base. Grazie a chi come te le ha e riesci e ad aiutare chi vuole aiutarsi!

  3. Ottima iniziativa. La prigione però è anche fuori dal carcere ,o forse lo è anche di più: è fatta di mancanza di ascolto, di comunicazione copia e incolla, di non detto, di menzogne raccontate a se stessi, di amicizie virtuali, di social che sono solo un surrogato di socialità. I vostri detenuti potrebbero insegnarci molte cose.

    • Ciao, Ugo! Hai fotografato una triste realtà e ci si rende conto, o meglio me ne sono resa conto, proprio grazie alla mia esperienza con le persone detenute il cui bisogno primario è proprio quello di mantenere vivo il contatto con gli affetti lasciati in sospeso, o peggio a forte rischio di perderli a causa di ciò che li ha portati in restrizione forzata. Il loro unico modo di comunicare con chi sta fuori fisicamente è una telefonata e la corrispondenza epistolare. Da loro ho imparato questo, oltre alla pazienza dell’attesa di ricevere una risposta e molto altro ancora. Grazie

  4. Conosco Antonella da un po’…. Non tantissimo ma quel che basta per potermi permettere di dire BRAVA, COMPLIMENTI LA TUA DETERMINAZIONE, QUEL MERAVIGLIOSO LATO AMOREVOLE, DURO, FA DI TE UNA PERSONA MERAVIGLIOSA.
    UN CALOROSO ABBRACCIO

    • Grazie, Moira per le tue parole affettuose e per il contributo emotivo che hai generosamente offerto per il mio percorso formativo. Ti abbraccio con riconoscenza e affetto

  5. Il termine che trovo più interessante è “ faciliatatore di scrittura terapeutica” perché facilitare va oltre l’aiutare che a
    Volte può implicare un apporto personale che rischia di essere invadente. Facilitare significa esserci come presenza assertiva che rassicura e permette quindi di esprimersi liberamente attraverso la scrittura che diventa quindi terapia di sollievo.Ricordo com’è iniziata questa avventura… so con quanta dedizione è proseguita e cresciuta…adesso hai la consapevolezza di chi oltre alla passione ha l’esperienza e quindi può offrire il massimo a chi , seppure in carcere,avrà la fortuna di poterne beneficiare.Fiera di essere tua amica!

    • Cara Loredana! Ascoltare la lettura di drammi vissuti e condivisi che a volte commuovono sino alle lacrime e nel contempo avere la capacità di non lasciarsi travolgere dall’impeto dei perché, dei consigli non richiesti, al contrario leggere negli sguardi la richiesta di aiuto per raggiungere il sollievo promesso è un percorso difficile, e non è detto a vanvera tanto per ottenerne compiacimento, ma proprio perché io per prima l’ho provato sulla mia pelle. Tu che ben mi conosci, so che puoi comprendere la mia fatica di non cedere all’impeto dell’impulsività. Come ho scritto a Ugo qualche giorno fa, con loro là dentro ho imparato molto, così come da chi mi ha concesso fiducia fuori. L’avventura prosegue e l’esperienza si va sempre più arricchendo. Grazie per le tue parole di incoraggiamento e di affetto! Ti abbraccio

    • Cosimo! Ho avuto l’opportunità di incontrare e collaborare con ottimi Maestri, come te per esempio, che mi hanno accompagnata e supportata in questa avventura fuori dall’ordinario. Grazie!

Lascia un commento