Radici e sensi di scrittura terapeutica: le parole di Sonia

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Non si può spiegare in due parole cosa sia la scrittura terapeutica. Non si può raccontare brevemente quale forza possa avere il percorso. Io l’ho toccato con mano e questo cammino ha toccato me nel profondo.

I temi, i sensi incontrati in questo tempo e con la penna tra le mani sono così tanti e così profondamente veri. Per poter rendere partecipe di questa esperienza coloro che lo desiderano ho scritto a Sonia alcune domande che avevo dentro di me.

Come può questo percorso avere questa forza? Quali sono le sue radici?

Che ricadute ci potranno essere sulla cultura, sulla nostra società così acerba per quanto riguarda le emozioni?

Io le ho scritto e lei mi ha risposto. Le sue parole sono nutrimento. Le condivido con voi, una breve intervista per raccontare un percorso che ha cambiato la mia vita.

1) Facciamo una premessa. Il potere della scrittura è conosciuto da tempo, ha radici antiche. Molti autori quali Bruner, Pennebacker scrivono della scrittura come metodo di cura ma ci sono state comunque resistenze che hai incontrato usando la parola “terapeutica”.  In alcuni tuoi libri come “Non avere paura” o “Parole Evolute” spieghi molto bene l’accezione di questo termine. Ci puoi dire cosa intendi: qual è il potere “terapeutico” della scrittura? Quello che hai riscontrato nella tua esperienza e vedi nei tuoi percorsi, con le persone? (

Bruner ci spiega che la Cultura è come una “cassetta per gli attrezzi”. In questa cassetta l’insegnante deve andare alla ricerca dello strumento più appropriato e in questa ricerca la NARRAZIONE è attività da considerare prioritaria, la forma espressiva per antonomasia la più utilizzata nella storia dell’essere umano. La scrittura, ci fa capire Bruner, ci aiuta a dare significato a ciò che ci circonda, ai nostri vissuti. La Narrazione va quindi intesa come pratica educativa e formativa che nella Memoria trova un suo assunto da cui partire per creare costruzione di significato e trasformazione della fatica in opportunità. La scrittura va  intesa quindi come strumento di interpretazione.

Pennebaker ci introduce alla Scrittura Terapeutica perché ci dice che mettere su carta i nostri pensieri, rispetto ad una sofferenza, ad una esperienza di dolore, è terapeutico. Egli ci parla di potere della scrittura e fa riferimento alla scrittura espressiva, perché per riconciliarsi con la vita e migliorare le proprie capacità è fondamentale entrare nelle nostre emozioni, nelle nostre fatiche e, tramite lo scritto, alleggerire il peso dei nostri dolori, delle nostre frustrazioni. 

Sì è vero, molti autori, come ben esprimi tu nella domanda, quali Bruner e Pennebaker sono stati precursori di una scrittura intesa come metodo di Cura.

Per mia esperienza diretta, la penna può veramente ricucire la ferita. Lo stesso grande psichiatra Eugenio

Borgna nel suo bel testo “ Saggezza” ci parla di Cura della parola, di medicina della parola.

Le parole non sono di questo mondo, sono un mondo a sé stante, sono creature viventi, sono prigioni sigillate dal mistero, e a ciascuno di noi è assegnato il compito di togliere a mano a mano questi sigilli, al fine di spalancarne il senso….scegliere le parole capaci di fare del bene, e di essere portatrici di cura, è un lavoro: molto faticoso…le parole che ci salvano, le parole sagge, non sono facili da trovare…le emozioni e le passioni sono rivelatrici del senso e del destino dell’esistenzaLe parole vivono, si modulano, sfuggono, si modificano nelle diverse situazioni in cui ci veniamo a trovare, e non sono mai inerti e mute, ma dicono sempre qualcosa, sono impegnative per chi le dice, e per chi le ascolta, cambiano di significato nella misura in cui cambiano i nostri stati d’animo e le nostre emozioni, le nostre attese e le nostre speranze” 

Lo svelamento della nostra storia che ci ha costruito come donne e uomini può portarci lontano, come lo insegna la mia stessa esperienza e quella di molti altri, se sappiamo accogliere la sofferenza che da essa ne deriva. La scrittura può divenire un ottimo aiuto per chi cerca come noi di allargare la nostra conoscenza interiore o di nutrire una maggiore consapevolezza verso le cose del mondo. 

La chiamo TERAPEUTICA perché attraverso la mia autobiografia ( e successivi testi  e altri scritti da testimoni) si evince quanto essa ci possa aiutare nell’elaborazione di un lutto anche difficile da accettare, a superare un trauma di cui molti di noi portano sul proprio corpo stigmate evidenti, a sciogliere nodi, a risolvere affettività conflittuali. Dare alla luce quelle emozioni che ci sono appartenute e che ci appartengono è molto faticoso, ma umanamente rigenerante per la nostra mente. Spesso faccio riferimento alla scrittura terapeutica come atto performante perché, spesso inconsapevolmente, essa agisce sul nostro pensiero , sui nostri comportamenti, ci aiuta ad agire e a non subire la vita ma a diventarne protagonisti

Questi 23 anni di scritture e di approfondimenti, partorendo quindi 15 testi diversi, mi hanno resa più malleabile al tocco della scrittura e imparando a familiarizzare con essa ho scoperto nuove parti di me con quella passione alla ricerca che, oramai, è intramontabile. Imparo a conoscermi attraverso la parola di chi è nel mio gruppo, alcune sfaccettature di me si depositano nel pensiero di altri sprigionando nell’essere umano una consapevolezza nuova che la scrittura produce in continua catarsi mutevole.  Attraverso la scrittura impariamo ad aprirci “ all’arte del dubbio a superare giudizi e pregiudizi che ammanettavano solo i nostri pensieri  rendendoci schiavi di sovrastrutture mentali che non sono mai arricchenti per la persona e di crescita. Credo che la scrittura possa essere veramente una PRATICA EDUCATIVA fra le più evolute per la persona che desidera crescere nel pensiero, nei comportamenti relazionali. 

2) Leggo una frase da “Non avere paura”: “la relazione empatica tra medico e paziente gioca un grosso ruolo a favore della salute, quando tendiamo alla guarigione e a un concetto di speranza”. Ecco, la messa a punto del tuo metodo ha avuto inizio dalla tua esperienza personale. Ci puoi raccontare quanto la scrittura sia utile nei contesti di salute. Quali sono le connessioni con la medicina narrativa e cosa intendi per Guaritore Interno?

Per questa domanda che mi poni cito anche il mio penultimo testo “ Parole evolute. Esperienze e Tecniche di scrittura terapeutica” che come ben sai rappresenta la mia metodologia, lo strumento utilizzato nei corsi di scrittura nei Master per formazione. Riporto, su questo tema una parte del mio scritto perché credo esprima in pieno il mio pensiero, ma non solo mio, per una tematica così attraente in cui ci vengono richieste risposte adeguate:

“ Non deve sorprendere il riconoscimento da parte del pensiero scientifico- seppur ancora timidamente, rispetto al naturale e antico entusiasmo di quello umanista- della funzione terapeutica della narrativa, della lettura, dell’autobiografia, e in generale di tutte le forme di espressione creativa. 

La concezione della scrittura come “ terapia coadiuvante”, da prescrivere accanto a quella farmacologica per il valido aiuto psicologico che fornisce al paziente, sta entrando, con crescente fervore, negli ambienti dove si affrontano le patologie, nei reparti sanitari dove, per la cura dell’infermità, l’importanza dell’equilibrio interiore del malato è oramai fuori discussione. Il termine stesso di “ medicina narrativa”, della parola scritta come farmaco utile, della scrittura come cura, comincia a trovare sempre più ampia diffusione e sempre di più sta a indicare una disciplina strutturata, materia di confronto e di incontro tra sapere e competenze convergenti sul soggetto uomo, e non sull’oggetto malato. 

Concetti ed esperienze un tempo patrimonio esclusivo dell’umanesimo, oggi si ritrovano al centro del pensiero scientifico contemporaneo, e fanno sì che tutto ciò che appartiene alla dimensione creativa dell’uomo (musica, danza, teatro, pittura e scrittura, in primo luogo) venga considerato mezzo indispensabile per superare la “staticità “ del pensiero razionale, i suoi limiti logico-deduttivi, per accedere alla profondità dell’essere, attraverso la stimolazione del sistema limbico del cervello per ottenere una più pronta risposta psicosomatica risanatrice

Questa apertura del pensiero scientifico verso valori umani essenziali, questa curiosità “razionale” per ciò che non si vede e che le macchine diagnostiche rivelano solo in minima parte, induce a ben sperare in un futuro, oramai prossimo, dove la cura del malato non preveda più la netta separazione tra il lato “macchina” del suo corpo e il suo lato spirituale. Ogni cura ufficiale, se i semi piantati oggi germoglieranno in un autentico cambio di mentalità, sarà accompagnata da un analogo percorso di cura interiore. La cura biologica sarà somministrata, lo  speriamo, insieme a quella che prevede un percorso di cura associato all’interiorità, al nostro sistema emozionale, al recupero e alla riattivazione di tutto ciò che in noi, dentro di noi, è essenza, sostanza, unicità, perché no, spirito – da cui ci stiamo, purtroppo, drammaticamente separando, snaturando il nostro sostanziale bisogno di integrità e di “comunione” con gli altri e con la Terra che ci ospita.

E il bisogno di un ritorno alla comunicazione, di una relazione meno fredda, meno distaccata, emerge con forza crescente nel desiderio di rinnovamento della relazione – e speriamo che presto questo divenga orientamento professionale condiviso – auspicato dallo stesso paziente, stanco del continuo ricorso, sempre più invasivo, alle macchine che lo trattano come “macchina”. […]

La formazione medica, quindi, deve aprirsi ad una concezione della “cura” più ampia, avanzata, contestualizzata in modo tale da tener conto della persona come soggetto, come “portatore sano” di istanze psicologiche basilari da ascoltare, da considerare, da stimolare. Anche utilizzando il farmaco del racconto( Eugenio Borgna) , della narrazione personale, dell’autobiografia scritta. 

La mancanza di un rapporto intuitivo, naturale, empatico tra operatore sanitario – dalla segretaria di studio fino al chirurgo – e paziente non facilita affatto l’evoluzione positiva della malattia, anzi, rischia seriamente di mettere in crisi la delicata triade medico-paziente-cura. La Medicina, come scienza rivolta alla cura degli uomini, dovrà sempre di più, a partire dall’oggi, inglobare nella sua prassi il “corpus” dei valori, dei pensieri e delle attività umane atte a garantire ad ogni persona-paziente un corretto equilibrio psico-fisico, una stabilità interiore, di cui l’insorgere della malattia è primo campanello d’allarme. 

Rivolgersi al prossimo in modo aperto e positivo – e questo vale per tutte le figure professionali che operano per il benessere sociale – significa credere fermamente nel potere della parola, intesa come strumento imprescindibile per dare o ridare fiducia; vuol dire tornare a guardarsi negli occhi per stimolare nell’altro una o più risposte positive: le terapie fisiche indicate dagli specialisti, onde evitare la cattiva interpretazione dell’intera anamnesi, non possono non tener conto della condizione interiore del soggetto, della sua storia più intima, del suo carico di emozioni e di conflitti. 

E per meglio comprendere la storia e la sofferenza dell’altro è necessario partire dal suo percorso auto-critico, dalla nostra interiorità di operatori, assistenti, medici e altro. Difficile capire gli altri senza aver prima portato a termine un proprio percorso di analisi e di comprensione, di chiarimento e di scavo psicologico su e di sé: calarsi nell’altro implica la conoscenza delle proprie fragilità, l’elaborazione e il superamento dei propri conflitti.”

Per quanto riguarda il nostro “ guaritore interno” nel testo “ Non avere paura” mi collego a Padre Butalao che scriveva: “ C’è un sistema di auto-cura in noi. Importante è attivarlo”. Egli annotava che c’è un guaritore in noi, e io confido vivamente e sempre in queste sue parole. Come scrivo nel mio testo “Possiamo aiutarci quando sappiamo darci fiducia e speranza”. Sentimenti a cui non dobbiamo rinunciare, soprattutto oggi, in questa società in cui si tende a snaturare la dimensione umana, la progettualità finalizzata al benessere e all’etica come dominio di una condizione migliore. 

Dobbiamo confinare la paura in altri lidi e appropriarci di un nuovo sentimento che conduca al bene: l’amore puro di sé. Con passione e magia…come ho sempre sottolineato, essere coinvolti in qualcosa che ci trascende ci dà la possibilità di scoprire in noi capacità insospettate. In tal modo impariamo a vivere con maggiore intensità. Questo filosoficamente si dice partecipare a un soggetto. Allora arriviamo a provare felicità vere ed esaltanti che danno senso alla vita. Talvolta queste esperienze comportano anche grandi tormenti che non possiamo risparmiarci. Ma la meta che possiamo raggiungere non ha eguali”

3) La tua autobiografia si chiama “lettere a un interlocutore reale. Il mio senso”. La scrittura ci guida alla ricerca del senso, del significato. Bruner parla dell’importanza di cogliere significati. In questo senso cosa emerge nei tuoi percorsi: che ruolo ha la scrittura e quanto è fondamentale la condivisione? (TITOLO 1)

 Davanti al foglio bianco e dentro la bolla di solitudine proprio di chi è intento a pensare per scrivere, diviene più facile acquisire una particolare centralità, sentirsi artefici di un proprio spazio riflesso, in cui raggiungere, con un carico emotivo sopportabile, un ulteriore grado di consapevolezza. Il mio invito di vita nuovo parte proprio dalla mia autobiografia attraverso cui ho imparato tante cose della vita. Più tardi, maturate in me nuove consapevolezze scrivevo nel già citato Parole Evolute : 

“L’atto di scrivere, tuttavia, il processo di riflessione continua da esso innescato, cui si aggiunge, nel gruppo di lavoro, la lettura delle testimonianze altrui e il dialogo che ne segue, alimenta e vivifica un’energia nuova, tutta da consolidare e sfruttare, un impulso ritrovato e condiviso contro la staticità: del corpo e della mente, dell’ambiente sociale e culturale in cui siamo immersi. È questo il primo serio cambiamento: dare corpo, grazie alle parole che scriviamo, alla confusione, al disagio e al malessere interiore, per riuscire ad aprirsi, dopo e con maturata consapevolezza, ai benefici passaggi successivi. 

In questa prospettiva, saper accettare il disorientamento iniziale, manifestarlo e condividerlo, è un passo importante, quanto quello di proseguire senza indugiare troppo sui contorti meccanismi della mente che ci impediscono una pronta risposta alla staticità paralizzante. Sarebbe assai sbagliato, in questo senso, colpevolizzarsi per aver scoperto, tramite la scrittura autobiografica, il peso delle nostre mancate risposte al momento giusto. […]

La riflessione scritta e il desiderio di maggior conoscenza di sé messo in moto, rappresentano “ipso facto” un cambiamento di rotta, rispetto all’affanno dispersivo e alle complicazioni della vita quotidiana. 

[…] Il riflettere per scrivere, più la lettura personale e la condivisione dello scritto nel gruppo di lavoro, attivano, in modo lento ma inarrestabile, un processo di confidenza e di riconoscimento nelle e delle  proprie parole destinato a rafforzare la considerazione di sé, la stima delle proprie capacità intellettive, la rivalutazione della propria immagine

In questo senso, si può davvero affermare che la scrittura autobiografica apre al soggetto nuovi scenari d’esistenza: inattese prospettive future che offrono un lasciapassare duraturo per nuove esperienze, umane e creative. La persona che partecipa attivamente e con costanza al seminario è in grado di percepire chiaramente questa nuova dimensione: la fiducia che sente crescere dentro per le proprie potenzialità di rinnovamento, condivise e incoraggiate dal gruppo, le consente di chiedere a sé stessa di più, di operare senza più dare per scontata la quotidianità, di attivarsi per cambiare qualcosa a partire da ciò che è a portata di mano, di adoperarsi per cercare gratificazioni compensative non effimere – e non soggette per obbligo all’approvazione degli altri. 

Tutto inizia e prosegue attraverso lettere dedicate che permettono di riconsiderare sé stessi e il proprio percorso di vita, dare senso e connessione ai pensieri, ai propri desideri profondi, nuove consapevolezze date dal fatto che zone rimaste in ombra, nel percorso, si illuminano. Quando poi queste lettere vengono condivise, l’esposizione orale dello scritto, le considerazioni degli altri innescano nuove dinamiche nel cammino di consapevolezza e di crescita della persona. 

4) Quanto è importante avere uno spirito creativo che sappia attivare la nostra intelligenza emotiva? Tu ne parli spesso e in vari modi. (TITOLO1)

E’ molto importante lavorare  su di sé per far emergere le proprie capacità creative, il proprio talento. Se vogliamo dire,  anche in questo caso la scrittura come cura e conoscenza di sé serve a questo; libera la persona, il suo immaginario, le spinte interiori mobilitando energie positive che spingono verso quel “ sacro fuoco” che impera dentro ognuno di noi. 

Sull’intelligenza emotiva lo psicologo statunitense Daniel Goleman ha scritto riflessioni importanti che ci conducono verso una riappropriazione dell’uso corretto delle nostre emozioni. Diventa per ognuno di noi determinante far buon uso di queste modalità conoscitive  per concorrere anche verso successi personali, relazionali e professionali. 

Le emozioni sono dotate di una loro grande forza strutturale che se non gestita al meglio diventa ostacolo nel raggiungimento di un pace interiore e nella finalità di perseguire nostri obiettivi fecondi. Lo stesso filosofo Umberto Galimberti ci spiega che non si può insegnare senza intelligenza emotiva e che i docenti  dovrebbero essere assunti in base alla loro intelligenza emotiva: si parla di analfabetismo emotivo perché al bambino, già in tenera età, si offre l’appagamento con un giocattolo per non farlo annoiare senza pensare ad altre risorse educative più efficaci. 

L’educazione emotiva deve proprio partire da quei primi passi nell’infanzia, dove insieme si tenta di raccontarsi, di leggere una storia, una favola, di partecipare ai giochi dove il bambino impari a stare nel gruppo, a condividerne il gioco, le sue pulsioni emozionali. 

Il gioco è elemento essenziale nella crescita del bambino come nel ragazzo può divenire lo sport o la pratica e  l’esercizio di uno strumento musicale ( arte terapia), lo stimolo conoscitivo è un ottimo nutrimento che ha che fare con la Cultura e quello stimolo va alimentato per far crescere il giovane  in equilibrio con il risultato, spesso, di  costruire ottime  capacità emotive e cognitive. 

La prima grande Scuola di vita nasce da  quella infanzia che  non deve essere defraudata delle sue molteplici capacità. Se la donna e l’uomo, da giovani,  vivono serenamente quel lato creativo della vita e il proprio talento,  da adulti mettono in luce una forte autostima e maggior consapevolezza della vita. Altrimenti se già l’infanzia, con i suoi processi educativi necessari,  viene negata e non considerata nei suoi molteplici aspetti costruttivi e risanatori,  la futura donna e il futuro uomo saranno sempre alla ricerca di quel riconoscimento mancato, di quella genesi da cui trarre conforto e appagamento. 

Si parla quindi di educazione sentimentale e credo che questa debba diventare una nuova disciplina, come l’educazione civica, da insegnare, da promuovere. Perché senza educazione ai sentimenti viaggiamo nella nostra vita sempre come se fossimo eretti  su alcune stampelle in cerca sempre di un appoggio, di un riparo e l’integrità dell’essere umano ha enormemente bisogno di contare su punti di riferimento, di essere in asse con un proprio equilibrio. Su queste modalità di intervento ci dobbiamo sentire tutti chiamati ad una responsabilità collettiva e civica per trasformare la parola in getto vitale, in promozione del “ segno” .  

Un fenomeno attuale,  dilagante e spiazzante, è la violenza sulle donne, ciò che oggi definiamo con la parola femminicidio. Credo che alcuni adulti non siano supportati da parti di vita troppo importanti che fanno riferimento ai sentimenti, tanto da  essere dimenticati con inettitudine e trascuratezza. Un uomo che si pone di fronte la vita con aggressività manifesta sempre una sua paura, una sua frustrazione. E l’uomo emotivamente chiuso è uomo difficile, in molti casi  psicologicamente perso perché non sa reggere la frustrazione, il dolore dell’abbandono, la rinuncia, la fatica. E su quel dolore atavico bisogna far breccia e tornare indietro nella sua memoria recuperando la sua storia, le sue relazioni affettive, la sua parte emotiva che va ricostruita con assiomi diversi. 

Il lavoro sull’interiorità è troppo importante oggi e non possiamo più demandare la sua crescita, la sua domanda che oggi diviene grido collettivo perché siamo spettatori di un mondo dove i casi di bulimia e anoressia fra i giovani aumentano, anche i casi di suicidio, dove la violenza anche verbale aumenta progressivamente in cerca di domanda, di stasi…

Dobbiamo chiedere di invertire quel parametro assiduo  della violenza e dell’aggressività ( sintomi sempre di debolezze personali e non di forza caratteriale)  e divenire protagonisti  della nostra vita e di quella altrui, e non più spettatori avulsi dalla realtà che ci circonda,  vigili e attenti per creare opportunità, cambiamento,  crescita collettiva umanizzata. 

5) Infine ti chiederei due parole su un tema importantissimo: la memoria. Nei tuoi percorsi sperimenti che le tracce della memoria non sono immutabili, ma attraverso la comprensione i vissuti cambiano. Cosa emerge? (TITOLO 1)

La Memoria è elemento prioritario in questi percorsi di conoscenza, e non solo. Il nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella,  e il nostro Papa gesuita, Francesco, lo ribadiscono in diverse loro riflessioni aperte alla collettività, ma molti grandi pensatori ed intellettuali si riferiscono ad essa non solo perché noi siamo “ prodotti umani” di quella Memoria ma perché senza Memoria non può esistere  la Storia, non esiste discernimento fra ciò che bene da ciò che è male. 

La stessa senatrice Liliana Segre ce lo insegna quotidianamente, perché noi esseri umani tendenzialmente dimentichiamo anche eventi che sono stati efferati ( Shoah) e ciclopici. Rimuoviamo molto facilmente per ignoranza, per superficialità e spesso arriviamo  a negare anche le evidenze. 

Su questo tema della Memoria  dobbiamo investire molto e siamo noi gli artefici di un mondo migliore, noi delegati a preservare il Bene comune e il Senso civico agganciandoci sempre a quella Memoria e tutelandola a difesa della nostra democrazia. 

Lo stesso percorso avviene anche nei miei corsi e nei Master con la scrittura terapeutica  perché la narrazione autobiografica ci aiuta a far luce su fatiche, errori, difese personali. 

La Memoria in un certo senso deve essere rivisitata per diventare capaci di vedere nuove possibilità di crescita, orizzonti che non ci conoscevamo. Puntare sulla Memoria significa spingersi oltre l’attuale, l’effimero, cercare nello sconosciuto che è sempre fonte di ricchezza mentale e spirituale. La Memoria ci introduce all’alterità, al diverso, allo sconosciuto e spingersi oltre significa conoscere parti nuove anche di noi, sondare il nostro sconosciuto e non temere più la diversità, alimentare il dubbio che è pratica fondamentale della filosofia. 

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Silvia Cipolli
Sono Silvia Cipolli una lettrice accanita, appassionata di storie e scritture da sempre. Ho scoperto su me stessa la forza terapeutica in un momento difficile della mia vita e, nel 2019 ho pubblicato un romanzo dal titolo La Soluzione è nel buio. Sono una psicologa abilitata, ho conseguito il Master come esperta in scrittura terapeutica Metodo Scarpante® e utilizzo scrittura e creatività nella relazione d’aiuto e nel mio lavoro. Organizzo gruppi di scrittura creativa e autobiografica, gestisco laboratori di scrittura in libreria. Collaboro con alcune associazioni all’interno proponendo progetti nei quali la scrittura si fa strumento di presa di cura dell’anima e del corpo.
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