Obiettivo di riflessione:
Cos’è la narrazione per un bambino? Perché ha bisogno di narrare di sé?
È una domenica come tante. Sono collegata a Zoom per seguire un corso di formazione online: “La famiglia che cura”. I miei figli sanno che sto lavorando e non devono entrare nello studio. A un certo punto, invece, compare mia figlia e mi consegna un foglio di carta.
“Leggilo subito!” dice.
La sua calligrafia è difficile da interpretare, ci sono errori di grammatica, ma il contenuto è chiaro. Tradotto in italiano corretto è, più o meno, questo:
“Non è colpa tua, ma mi è venuto da piangere perché mi manca… Ora scrivo e vediamo se dopo sto meglio”.
Comprendo subito. Mia figlia adottiva è un contenitore di storie passate e presenti che generano emozioni contrastanti. Resta nello studio con me, le do un quaderno e la incito a scrivere come si sente. Così come le viene… in fondo a soli nove anni e tanti bisogni speciali.
Io penso che la narrazione è da sempre usata dall’essere umano. È uno strumento importante d’interpretazionedella realtà per interagire con il mondo sociale nel quale noi essere umani viviamo. È dunque un modo per comprendere tutto quanto ci circonda e per trasmetterlo, poi, agli altri.
Quando il bambino acquisisce la capacità di leggere e scrivere inizia a narrare chi è, le sue caratteristiche, i suoi desideri, le sue avventure, le sue paure e le emozioni che prova. Lo fa a scuola, a casa, con gli amici scambiandosi biglietti e frasi in un momento nel quale il suo cuore gli dice di farlo.
Lo psicologo e accademico Daniel Taylor sostiene che ognuno è il prodotto delle storie che ha ascoltato e che ha vissuto. Quotidianamente si racconta e ci si racconta, ed è proprio in questa relazionalità, che avviene la negoziazione del proprio sé con quello altrui. In questo senso la narrazione può trovare la propria validità come strumento nel processo formativo per la costruzione di significati.
Partendo da questo concetto e pensando al bambino vulnerabile possiamo dedurre che quel bambino sarà un individuo con un estremo bisogno di narrare sé stesso e la sua storia, per poter diventare un adulto sano.
Ma chi è il bambino vulnerabile?
Il bambino vulnerabile è una persona che è nata in un ambiente a lui non favorevole o che è cresciuto senza un modello educativo adatto o che non ha avuto la possibilità di sviluppare un’intelligenza emotiva a causa della deprivazione o della negatività dell’ambiente o dello stato di abbandono o dell’assenza di maternage… Un bambino vulnerabile è un bambino infelice che ha necessità di ri-costruirsi.
Perché il bambino vulnerabile ha bisogno di narrare il suo Sé?
La narrazione consente al bambino di esplorare e comprendere il suo mondo interno per conoscere sé stesso e di rivelarsi agli altri attraverso le storie che racconta; inoltre narrare dà l’opportunità al bambino di esplorare le sue esperienze individuali, le situazioni problematiche di difficile interpretazione, consentendo di comprenderne e decostruirne/ricostruirne il significato. Attraverso il dispositivo narrativo, il bambino è collocato in uno specifico tempo e spazio ed è dotato di intenzioni e motivazioni.
Cos’è la scrittura per il bambino?
Spesso il bambino ha difficoltà a esprimersi di fronte all’adulto, ma la scrittura gli permette ugualmente di far arrivare un messaggio senza provare, però, imbarazzo o paura della reazione o del giudizio altrui. Nella narrazione la tonalità emotiva è spesso molto forte, al contrario attraverso la scrittura il bambino riesce a modulare le emozioni che prova in quel momento, rispettando i propri tempi mentre dà loro una forma attraverso la scelta delle parole.
La narrazione favorisce lo sviluppo delle sue funzioni linguistico – cognitive. Inoltre, mentre si racconta, il bambino riconosce e dà un nome alle emozioni vissute, costruisce un vocabolario per parlare dei sentimenti come la rabbia, la paura e la tristezza…
Quando un bambino scrive cosa sta provando, esprime all’adulto il suo tentativo di imparare a riconoscere le emozioni. In poche parole, ricostruisce sé stesso in quelle parti compromesse o vuote, dove nessun adulto aveva lavorato precedentemente per promuovere il suo sviluppo fisico – cognitivo – psicologico.
Torno a guardare mia figlia che scrive, concentrata e pensierosa, e penso che in quel foglio c’è un terreno fertile che permetterà a me genitore di aiutarla nella ricostruzione di sé, di sostenerla mentre rielaborerà il suo vissuto passato, di accompagnarla mentre cresce non solo nel fisico, ma anche nella psiche e nell’animo.
Quando pensiamo al potere della scrittura terapeutica, generalmente, immaginiamo un adulto che ripercorre la propria vita aiutato da scritti autobiografici, attraverso i quali sarà in grado di identificare ferite pregresse e/o nodi da sciogliere.
Oggi, invece, ho avuto la riprova che questo strumento di cura del Sé può essere insegnato anche ai bambini, soprattutto a quelli che fin dalla tenera età portano addosso il peso di esistenze difficili. L’obiettivo è quello di permettere loro di crescere più consapevoli e di dare la possibilità a chi li accompagna di identificare celermente ferite, traumi e sentimenti, attraverso la lettura di quegli scritti.
Come non dare ragione a Umberto Eco, quando diceva:
«Leggere racconti significa fare un gioco attraverso il quale si impara a dar senso alla immensità delle cose che sono accadute e accadono e accadranno nel mondo reale»