Essere madre… di cuore

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Spunto di riflessione: quali emozioni si provano accogliendo un figlio in adozione o in affido familiare? Non esiste un’accoglienza universale, ma tante e tutte diverse, per ogni storia che prende vita. Per questo motivo, la relazione che nasce sarà permeata, contemporaneamente, da tantissime sfumature di sentimenti e contrasti. Essere madre di cuore significa far entrare nella propria vita non solo un bambino, ma anche la sua storia passata.

Ho scritto una lettera a Lisa. Sua madre biologica l’ha messa al mondo. Io l’ho partorita di nuovo dal mio cuore e non è stato facile. Un lungo travaglio distocico ha portato alla luce la nostra relazione. 

La scrittura è stata lo strumento che mi ha permesso di decantare emozioni contrastanti e rimettere ordine tra le macerie di un equilibrio che si era frantumato dopo l’arrivo di Lisa. 

Narrare il mio vissuto, in relazione alle dinamiche che vivevo quotidianamente con lei, mi ha fatto prendere consapevolezza del mio ruolo e del mio nuovo essere. 

Per ogni emozione espressa attraverso pensieri e parole, usando pazienza, costanza, saggezza e prudenza, la stabilità è ritornata nella famiglia. Ogni componente di questa si è riscoperto più competente da un punto di vista relazionale. 

Quello che, inizialmente, io consideravo un nodo stretto, con il tempo e un duro lavoro introspettivo, è diventato mia figlia.

Cara Lisa,

prendo carta e penna con la speranza nel cuore che, quando sarai grande, rileggerai questa lettera e sorriderai, felice delle nostre conquiste.

Purtroppo oggi, invece di ridere sempre insieme, io e te ci scontriamo quotidianamente.

I nostri conflitti sono come quei nodi stretti che si formano nei lacci delle scarpe; le emozioni che proviamo, dopo ogni scontro, sono intense come lo sforzo di chi vuole separare quelle stringhe. Reciprocamente perdiamo la pazienza e, alla fine, resta una grande spossatezza.

Quando ti ho incontrata per la prima volta, ho provato lo stesso sconvolgimento emotivo che prova la neo mamma quando le mettono sulla pancia il figlio appena nato. Eri un essere minuscolo, irrequieto, un furetto che ha, immediatamente, scalfito il mio cuore, sotto al sole di quei pomeriggi di giugno. Andavamo sempre al parco per vivere la nostra settimana di conoscenza. 

Eri una bimbetta dai capelli dorati che, lentamente, si sarebbe insinuata tra di noi con la forza di un uragano. 

L’inizio della nostra convivenza è stato facile, anche divertente e idilliaco. 

Nei momenti critici, al contrario, credevo che sarebbe bastato ripetermi: “Adesso ci sono io, andrà tutto bene.” In verità, dopo nemmeno un mese dal tuo arrivo, io, più di tutti gli altri, ho scoperto di avere tra le mani una mina, pronta a scoppiare a ripetizione e, ogni volta, inaspettatamente e in modo diverso. 

Ben presto, hai frantumato le mie certezze, fatto vacillare la mia sicurezza fino a polverizzarla, rompendo qualcosa dentro di me. Da ogni crepa uscivano emozioni nuove, sconosciute, con le quali non mi ero mai scontrata prima d’ora.

Crollando le mie difese, prendeva il sopravvento una madre diversa, che mi faceva paura. 

Io non ero più io, immersa in un equilibrio distrutto che mi trasformava ogni giorno di più. La paura, la rabbia, l’essere indisponente, l’orgoglio e persino accenni di odio m’investivano come uno tsunami improvviso, tirando fuori la parte peggiore di me. Una cascata di modi di essere che poi sommergeva tutto il resto della famiglia in un clima davvero pesante.

Con te, Lisa, era come trascorrere intere giornate roteando in cerchio, con i pensieri in subbuglio senza un punto di riferimento. Niente era più sotto controllo. 

E tu, eri proprio venuta a scombussolare la mia personalità, al punto che, ho dovuto ricostruirne una nuova per poter convivere con te. 

Oggi, sono perfettamente consapevole che la strada è ancora molto lunga, ma in quello che, all’inizio, io reputavo negativo, ho scoperto una me più vera, più determinata e capace di rimodularsi. 

In questo percorso io mi scopro essere, anche, un groviglio di nodi e sono le tue esili dita a intrecciare i fili che stanno alla base della nostra relazione. Sono le tue mani che, mescolando il tuo ieri con il nostro oggi, tentano di legare la nuova relazione. 

Sono convinta che alcuni di questi nodi sono essenziali, per me e per te. La vita umana, infatti, può dipendere da un nodo ben fatto, ad esempio, ogni volta che dovrai guadare i torrenti del tuo dolore o, peggio, quando rischierai di annegare o quando sarò io a calarmi dalla sommità del dirupo dove sei caduta o per trarti in salvo dalla finestra delle tue emozioni che prendono fuoco. Tutto dipenderà da quel nodo ben fatto o dal lancio di quel cappio solido.

E la verità è che occorre tanta pratica per imparare a fare i nodi giusti e, quasi sempre, necessari in pochi e preziosi istanti.

Il problema che ci accomuna è che, spesso, usiamo spago e lacci e, quando cerchiamo di salvarci reciprocamente, quei nodi si sciolgono e ci fanno precipitare, aumentando così la distanza tra noi.

Quando penso a noi due oggi, paragono entrambe a due funi, una tesa verso l’altra; quando si toccano o, semplicemente si sfiorano, vanno a formare quei nodi detti ancorotto. Sorrido della coincidenza che sta dentro a questa parola, così perfetta. È la definizione esatta di ciò che siamo noi due, insieme: un ancorotto. Io cerco di essere la giusta ancora per te, te che sei ancora qualcosa di rotto.

Dolcemente, una voce mi ripete all’orecchio: “Coraggio, pensa che sei tu l’adulto; ricorda il passato di questa bambina. Sei tu che devi fare il primo passo e riconciliarti.” Ma io vorrei gridare: “Facile eh? Prima ti fa perdere le staffe, t’insulta, ti lancia parolacce, ti mostra il terzo dito, si tappa le orecchie per non ascoltare le tue parole indulgenti. Poi striscia da te, la piccolina…”

Allora io respiro profondamente e caccio via dalla mia mente ogni pensiero. 

Se non sono troppo stanca, riesco a mettermi alla tua altezza, ti guardo, osservo i tuoi occhi mortificati e aspetto la tua calma vera. Quando arriva il silenzio tra noi, ti chiedo come ti sei sentita in quel tuo momento di follia e, successivamente, ti racconto le mie sensazioni. Nasce un confronto, uno scambio reciproco che ripristina l’armonia, fino allo scontro successivo.

Forse, non potrai mai capire come mi sento davvero in quei momenti, io così impostata, precisa, piena di buoni propositi, io di fronte a te che sei sconclusionata, istintiva, dirompente con quella tua logica controversa e, forse, anche con la memoria compromessa.

Vorrei delle risposte certe, ma nessuno può darmele davvero. È la tua disabilità a renderti una bomba a orologeria e sarai così per tutta la vita? Oppure, è il tuo passato che ha lesionato in modo permanente i meccanismi fisiologici e sarò in grado io di aggiustarli ancora?

Caccio l’orgoglio lontano da me e la mia ostinazione a correggere i tuoi difetti e penso che è la tua anima a essere stata colpita davvero.

Provo vergogna, perché so che è l’amore a curare le anime ferite, quell’amore che non sempre riesco a provare come vorrei o a darti nel modo che ti aspetti.

È difficile trasmettere emozioni, quando la ragione tira da un’altra parte e il corpo si oppone

Cara Lisa, però, nella vita, nulla succede mai per caso e spetterà sempre a noi sciogliere i nodi fatti male e stringere quelli perfetti. Il mio sì di allora, quando ancora nemmeno ti conoscevo, resta la via nella quale perfezionarci a vicenda, lì dove si può amare davvero

Io lo so chi sei: la mia opportunità per diventare migliore. Ma cosa sarò io per te lo scoprirai solo con il tempo, basta che non ti arrendi mai. Tu sei l’archeologo della mia coscienza. Stai scavando da anni nella mia anima, tentando di riportare in superficie la parte peggiore di me. La sollevi, pian piano verso la luce, spennellandone le parti ancora impolverate o incrostate. Fai spazio perché qualcosa di nuovo possa rinascere, in questo gioco di ombre e luci, così nascosto ad occhio umano. È la vita che ci incita, sono gli eventi e i ricordi a sospingersi verso un nuovo noi.

Il tuo lavoro, forse, è appena cominciato, mentre ancora continuo a sbagliare. E per ogni errore, dobbiamo sempre ricominciare da capo. Ma ti ringrazio, perché mi stai insegnando qualcosa che nessuno mi aveva mai trasmesso: riconoscere gli errori e saperli trattenere, invertire e rimodulare prima che possano provocare una ferita sugli altri. Mi aiuti a conoscere me stessa ed entrare in relazione con la parte più profonda di me, prima che con te. 

Sì, Lisa, sei tu il mio nodo più grande, ma anche la somma dei miei desideri più intensi: riuscire a sciogliere tutte le mie briglie contemporaneamente a te, mentre gridiamo “vittoria e w l’amore”! 

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Serena Savarelli
Serena Savarelli nasce ad Arezzo il 26 luglio 1979, laureata in Ostetricia, vive a Castiglion Fiorentino con il marito e i figli, biologici e adottivi. Serena lavora come ostetrica di comunità nel consultorio familiare del suo paese La scrittura è la sua passione fin da piccola nella quale continua a formarsi, reputandolo un importante strumento nella cura di sé. Il Master in Scrittura Terapeutica è stato fondamentale per la sua crescita interiore. Inizia a pubblicare per MonteCovello Editore nel 2017 vari racconti e poesie e il suo primo romanzo La vita in una matrioska. Con Pav Edizioni continua a pubblicare racconti in antologie della collana Pav per il sociale, condividendo così tematiche importanti come la cura di sé, la diversità in tutte le sue forme, la violenza sulle donne e maternità e disabilità. Sempre con la stessa casa editrice è in procinto di pubblicare il suo secondo romanzo. Serena Savarelli è impegnata da molti anni nella tutela dei diritti dei minori special needs, collaborando con le associazioni di volontariato Voci diverse e M’ama dalla parte dei bambini, attive nel territorio italiano. Entrambe le associazioni promuovono la realizzazione di una rete di sostegno tra le famiglie che vivono la disabilità del proprio figlio, in un contesto d’inclusione e di accoglienza per il benessere globale della persona. Pubblica nel 2022 il romanzo “ Dove il sole si ferma” Pav edizioni , scritto con la sorella Giulia
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