Nella vita possiamo essere ciò che vogliamo oppure ciò che dobbiamo. Esistono due vite parallele: un “io” e un “tu”, il primo passionale e impetuoso, il secondo rigoroso e razionale.
Ciascuno sceglie di essere l’uno o l’altro, attribuendo il “tu” a quella parte da cui si vuole prendere le distanze. Si sceglie, così, di seguire l’anima o il cervello e di lasciarsi guidare dalle loro regole.
In questo tempo restrizioni, difficoltà, doveri e pregiudizi hanno fatto prendere posizioni inflessibili, interrompendo il dialogo tra l’io e il tu.
Una delle definizioni di dialogo è “capacità di comunicazione e comprensione reciproca.” Quando il dialogo diventa monologo non c’è più scambio, quindi nessuna crescita. Tra le diverse forme di comunicazione, la scrittura può correre in aiuto, ristabilire il dialogo che si è interrotto e permette di conoscere meglio se stessi.
Lo scrittore Abdulrazak Gurnah, premio Nobel per la Letteratura nel 2021, di recente ha rilasciato un’intervista su Repubblica, in cui parla di alcune tappe di vita importanti e del suo ultimo romanzo (Paradiso, ed. La nave di Teseo).
Alla domanda sul perché avesse iniziato a scrivere, Gurnah risponde: ”La scrittura mi è servita a guardarmi dentro, a capire i miei pensieri. Ho iniziato a scrivere non perché volessi diventare uno scrittore, ma perché quando avevo pensieri tristi mi faceva sentire meglio. Piano piano quegli scritti hanno cominciato a prendere una forma artistica”.
Una volta scritta, la parola risuona dentro il confine delle pagine e diventa più forte. Ciò che prima era solo un pensiero, ora diventa una seconda voce e inizia un dialogo con il proprio profondo. La scrittura lascia parlare l’anima. Scrivere è buttare fuori per vedere finalmente, diversamente, e risolvere.
La scrittura terapeutica è il mio modo di dialogare con l’anima. In realtà, avevo iniziato il percorso con altre aspettative. Pensavo che avrei acquisito uno strumento per sostenere un familiare in difficoltà. Gli avrei proposto di tenere un diario. Sarebbe stato di aiuto per me e terapeutico per lui. Invece, sono andata incontro al cambiamento.
Durante il percorso la scrittura mi ha vista cambiare, non soltanto per gli effetti del tempo. Le mie prime lettere erano brevi, controllate, giudicanti. Poi è arrivata la lettera allo sconosciuto, e mi sono ritrovata a scrivere a me stessa.
Quella lettera inizia così: “Non so da quanto tempo ci stiamo osservando, se mi fermo a pensare sono anni ma non ci siamo mai presentate davvero. Ti ho sempre dato poca importanza. Svolgo la mia vita come meglio posso, mi è difficile adattarmi al flusso e a perdonarmi quando non riesco a stare al passo, a rispondere, ad accontentare. È proprio lì che ti rifai viva tu. Non usi il campanello, nemmeno aspetti che io ti dia il permesso…non sento la tua voce, arrivi accompagnata da uno stimolo come fosse una vampata, oppure una luce che sale dal basso verso l’alto velocemente, tipo quella giostra dove i ragazzi si divertono a colpire con un pugno il sacco per vedere la forza a che livello arriva. Tu il livello massimo lo raggiungi sempre, e quando si sente quel “TIN” di fine corsa allora io mi sposto e tu parli per me, agisci per me.” In questa lettera ho assistito al dialogo con la mia anima. Avevo deciso di combattere la mia rigidità innata, la fonte della mia irascibilità Quella stessa rigidità aveva manipolato il dialogo con l’anima per un po’, fino a quella lettera. Leggendo quelle parole la mia voce si è rotta, la consapevolezza si è trasformata in pianto, Liberazione. Stavo dialogando con la mia anima dopo tanto tempo. Un’anima rabbiosa, oppressa da ritmi e da doveri che le toglievano voce. Anima a cui non restava che urlare. Da quel momento in poi la mia scrittura è cambiata, più concessa alla visione dell’altro.Nelle pagine hanno preso posto i ricordi del cuore, i giudizi si sono trasformati in riflessioni, alcuni sentimenti hanno preso consapevolezza.
La cura dell’anima richiede un dialogo costante. Non tutti i miei scritti hanno seguito una evoluzione così chiara. Ci sono lettere che hanno poche parole e molti “io”. Le mie compagne del corso di scrittura terapeutica dicono che quelle sono le lettere che non ho ancora finito di scrivere. Nodi che ancora non ho districato. Nodi di budella, di situazioni irrisolte, di taboo non ancora svelati all’anima. Per me ci sono ancora mille e nuove pagine da scrivere.
Consiglio di lettura:
intervista di Raffaella De Santis al premio Nobel 2021, Abdulrazak Gurnah “Perché la scrittura è cura dell’anima” La Repubblica 22 Febbraio 2022 (accessibile a chi è un abbonato di La Repubblica)